Suor Simona Paolini (Professoressa Diritto canonico. Facoltà di Diritto Canonico San Pio X)
La povertà, come principio, non è prevista esplicitamente né nella fase preparatoria al Codice, né tra i suoi canoni, eppure essa è per la vita della Chiesa un consiglio evangelico, ovvero un’esortazione rivolta ad ogni uomo, scaturita dalla stessa sapienza del Vangelo. Non quindi un precetto, o una disposizione positiva riservata ad alcuni, ma una forma di vita cristiana, secondo l’umanità rivelata in Cristo Gesù, costitutiva del popolo di Dio, per una persona titolare di doveri e diritti (can. 96). Nella letteratura del Concilio Vaticano II è invece ricorrente il richiamo alla povertà: la povertà è quella strada tracciata da Cristo povero ed ora da percorrere per proseguire la missione della Chiesa (AG5), un valore (CD12) che bene esprime la gloria e il segno della Chiesa di Cristo (GS88), una componente di quello spirito ecclesiale al quale educarsi (OT9). Vi fanno tuttavia particolare menzione i decreti Presbyterorum ordinis e Perfectae caritatis.
Presbyterorum ordinis prevede la povertà tra le peculiari esigenze spirituali nella vita dei presbiteri, insieme all’umiltà, all’obbedienza e al celibato (PO17). La povertà presbiterale è richiesta per un giusto e libero rapporto con le realtà terrene, per un docile ascolto della voce di Dio. Se è pur vero che questa povertà è prevista come una possibile scelta, d’altro canto, è anche da essa, che si fa discendere la credibilità e la fecondità del ministero. È quindi la ministerialità, il titolo legittimo, la finalità ultima e il significato originale per un corretto esercizio della povertà presbiterale. I documenti più recenti hanno trattato diffusamente la questione della povertà nella vita presbiterale; l’Esortazione apostolica post-sinodale Pastore dabo vobis nel cap. 3 dedicato alla vita spirituale del sacerdote, riserva un intero paragrafo al valore spirituale e pastorale della vita povera del presbitero (PDV30), da cui scelte di trasparenza nell’amministrazione dei beni, impegno a favorire un’equa distribuzione dei beni, forme di uso comune dei beni, per una vita sobria, semplice e austera, che sia testimonianza sincera e credibile della vita povera di Cristo Gesù, di cui i presbiteri sono configurazione sacramentale. Interessante che anche nel documento del 2016, della Congregazione per il Clero, sulla formazione alla vita presbiterale, Il Dono della vocazione presbiterale – Ratio Fundamentalis Institutionis Sacerdotalis, ricorra con frequenza la necessità di una vera e propria educazione allo spirito di povertà.
Per il soggetto ecclesiale della vita consacrata, l’incidenza della povertà è più immediata e rilevante come emerge nel Perfectae caritatis e nel Codice di diritto canonico del 1983, dove la vita religiosa, poi vita consacrata, è definita mediante la professione dei consigli evangelici (cann. 573-575), per cui la povertà viene assunta con un vincolo sacro, quale imitazione della vita povera di Cristo, declinata tra dipendenza e limitazione. L’uso dei beni è inoltre legittimato nella forma del proprio patrimonio, secondo uno stile amministrativo che esprima il proprio carisma e comunque scevro da forme di lusso, lucro e accumulo. Nel CJC ’83 l’impegno ad una vita povera viene delineato entro due conseguenze: l’essere imitazione di Cristo povero e il vivere delle implicazioni che sono proprie (secumfert, dice il can. 600), da cui una vita povera di fatto e di spirito, da condursi in operosa sobrietà, senza indulgere nelle ricchezze terrene. La questione povertà nella vita consacrata è talmente rilevante che il Legislatore ne ha prevista la regolamentazione mediante un vero e proprio sistema normativo, articolato tra le disposizioni del libro V sui beni temporali della Chiesa, poi i canoni sui beni temporali e la loro amministrazione (cann. 634-640), quindi il diritto proprio dei singoli Istituti, ed ora, inoltre, il Direttorio economico che ogni Istituto deve redigere in ossequio alle disposizioni delle Linee orientative per la gestione dei beni del 2014, poi confermate dagli ultimi Orientamenti Economia a servizio del carisma e della missione del 2018.
Una corretta interpretazione del principio della povertà richiede una collocazione nel cammino ecclesiale attuale, dove la Chiesa tutta è richiamata ad assumere un nuovo paradigma antropologico, che esprima una conversione ecologica generale, e quindi anche economica, capace di promuovere una fraternità universale (Fratelli tutti), che sappia prendersi cura della casa comune (Laudato si’). Nel magistero di Bergoglio la categoria della povertà assume sempre più un ruolo cardine del vivere cristiano come emerge all’inizio del suo pontificato, sin da quella condivisione spontanea in cui il Papa raccontò l’anelito di una Chiesa povera per i poveri, poi sistematizzata nell’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium, quando consegnando il mandato per l’annuncio del Vangelo nel mondo attuale, venne posta la povertà come esigenza della dimensione sociale dell’evangelizzazione (EG186-216) e ancora decisamente confermata come forma del vivere cristiano con l’istituzione della Giornata Mondiale dei poveri nel 2017, voluta al fine di educare tutto il popolo di Dio al dovere evangelico di prendersi cura gli uni degli altri.
Non è quindi corretto parlare di marginalità del principio della povertà, quanto piuttosto è opportuno evidenziarne l’esigenza di una ri-comprensione, che in un realismo creativo, informi l’intera vita ecclesiale, mediante passi fiduciosi nella provvidenza, ma anche operosi nell’individuare e adottare forme di collaborazione e di condivisione, per una Chiesa sempre più sinodale, con i fatti e nella verità.
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- Nella fedeltà al carisma, ripensare l’economia. Atti del II Simposio Internazionale, Roma, 25-27 novembre 2016, Città del Vaticano, 2018.
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- Buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Atti del Seminario, Roma, 6 marzo 2018, Città del Vaticano, 2019.
31 ottobre 2021